La comunicazione cattolica nel ‘900
Fausto Fiorentini
Il Nuovo Giornale esce il 6 gennaio 1910, quindi la sua storia attraversa tutto il Novecento, ma, per poter comprendere meglio la sua esperienza editoriale, può essere utile prendere in considerazione quanto è successo nei decenni precedenti.
Va premesso che parliamo del giornalismo come lo intendiamo oggi, cioè basato sulla notizia, e questo ci porta a grandi linee alla metà del XIX secolo. Per Piacenza si può addirittura indicare la data di nascita. Nel 1848, nell'anno che vede la città di Piacenza meritarsi il titolo di "La Primogenita" per la sua adesione al movimento risorgimentale, prende l'avvio la storia del giornalismo piacentino. Non è che in precedenza non vi siano stati tentativi di realizzare "gazzette" o comunque pubblicazioni rivolte ad una ancora incerta opinione pubblica, è che la loro presenza - di cui abbiamo conoscenze a dir poco modeste o indirette – era spesso episodica o più vicina alla letteratura che al giornalismo, almeno secondo il significato che diamo oggi ad una pubblicazione rivolta alla massa.
Le origini del giornalismo piacentino
Ed è nel citato 1848 che vedono la luce in città “L’Eridano”, che fiancheggia il governo provvisorio, e “Il Tribuno del Popolo”, all’opposizione. Non entriamo nel merito di questa pagina storica piacentina, però una citazione vogliamo farla: alla base della nuova stagione del giornalismo a Piacenza vi è il decreto 89 del Governo Provvisorio che si pronuncia sulla libertà di stampa, argomento che era stato già affrontato nei giorni precedenti, ma che ora viene disciplinato in modo più organico. In particolare vengono ripresi e ampliati i seguenti articoli: 1) La stampa è libera, ferme stanti le disposizioni repressive contenute nel Codice Penale vigente. 2) Coloro, che vorranno istituire Giornali, o altre periodiche pubblicazioni, dovranno assumere la responsabilità degli abusi, col fare dichiarazione apposita alla Direzione Generale della Polizia. 3) I giornali, i libri, e le riviste periodiche che si pubblicano all’estero, sono ammessi indistintamente in questi Stati. 4) Nulla potrà essere stampato senza nome di autore o di editore. Questo mancando s’intenderà responsabile lo stampatore, che dovrà sempre nominarsi.
Il vento della libertà di stampa non è però prerogativa dei piacentini: il 4 marzo 1848 Carlo Alberto aveva approvato lo Statuto che all’art. 28 parla appunto di libertà nella comunicazione giornalistica, concetto in seguito meglio disciplinato dall’“Editto Albertino sulla stampa” del 26 marzo 1848.
Per comprendere l’importanza di queste citazioni, che potrebbero sembrare eccessivamente tecniche, occorre tener presente che costituiscono, per la libertà di stampa, i primi passi di un lungo cammino che può avere, in Italia, in tempi recenti, il riferimento principale nell’articolo 21 della Costituzione Repubblicana che, tra l’altro, afferma: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Ovviamente si tratta di enunciazioni di principio e, per un’analisi completa, occorrerebbe fare riferimento anche alle leggi specifiche sulla stampa, tra cui quella che dà vita all’Ordine dei Giornalisti, senza trascurare le varie “Carte” sull’etica della professione, ma questo potrebbe portarci lontano. Quello che conta è rilevare che nel 1848, quando tornano gli austriaci e con loro se ne va la libertà politica e quindi anche di stampa, per restare in tema, se ne vanno pure i giornali liberi. E’ un’affermazione che sarebbe bene memorizzare perché può tornare utile per comprendere molte pagine anche della storia della stampa nel Novecento.
Il giornalismo cattolico piacentino
Restiamo alla storia del giornalismo piacentino. Nella seconda metà dell’Ottocento si muove, negli ultimi decenni, anche quello cattolico, ma è caratterizzato da una forte mortalità: le varie testate hanno una vita limitata e stentata. E’ come se alla base di ogni singolo foglio vi fossero progetti limitati, incapaci di inserirsi in una visione di più ampio respiro, a differenza di quanto accade per il settore laico che, pur risentendo di una certa fragilità, riesce tuttavia ad esprimere alcune testate che hanno vita lunga. E’ il caso de «Il Progresso» (1867-1911), quotidiano liberale democratico; del bisettimanale di sinistra «Il Piccolo» (1877 – 1923) e di «Libertà» (1883 – in corso) di orientamento liberale moderato.
Questi i giornali cattolici che escono nei decenni precedenti la nascita de “Il Nuovo Giornale”: “Il Veridico” (con Parma: 4 gennaio 1873 - 8 luglio 1884; “La Verità” (6 gennaio 1880 – 31 dicembre 1881); “La Voce del Paese” (5 aprile 1882 – 30 dicembre 1883); “L’Indicatore Piacentino” (3 gennaio 1885 – 10 febbraio 1886): “L’Amico del Popolo” (2 gennaio 1886 – 22 maggio 1898); “L’Eco del Popolo” (4 giugno 1898 – 2 luglio 1898); “La Voce Cattolica” (1° maggio 1898 – 14 dicembre 1901); “Il Lavoro” (12 luglio 1902 – 3 dicembre 1904); “La Favilla” (16 febbraio 1907 – 25 dicembre 1909).
Non è, però, solo una questione di mortalità dovuta a mancanza di progettualità a lungo termine; vi è anche da notare una sostanziale posizione di sospetto da parte della Chiesa verso questi nuovi strumenti di comunicazione. E’ significativo un commento che il giornale “La Verità” (gennaio 1880 - dicembre 1881) dedica al giornalismo: in un lungo articolo paragona la stampa, “quarta potenza in onore della quale ad ogni pubblico banchetto non si lascia di fare un brindisi”, ai moderni mezzi bellici tra cui il cannone Krupp. Ne deriva “un dovere del cristiano d’impadronirsi della stampa per meglio difendere la Chiesa e la società”. Vista, però, la depravazione della gente “sarebbe molto meglio per il mondo se non si fosse inventato mai né il fucile ad ago, né la stampa periodica”. Si rimpiangono i tempi dei manoscritti quando predominava l’intelligenza. Ora “un solo mediocrissimo spirito può con un giornale, far più male in mezz’ora, che cento intelligenze sceltissime non potranno riparare in un anno”.
Ovviamente è solo la posizione di un redattore o di uno dei nove giornali cattolici che precedono “Il Nuovo Giornale”, ma ci pare indicativo del clima generale. Da qui l’importanza proprio del “Nuovo Giornale” che nasce e resta quotidiano fino al 1926, diventa poi bisettimanale fino al 1932 e poi definitivamente settimanale. Il fatto che, nonostante le caratteristiche del secolo in cui si trova a vivere, resti fedele al suo mandato di giornale cattolico per oltre cento anni dimostra anche che la posizione degli stessi cattolici e della Chiesa in generale era sostanzialmente cambiata nei confronti della comunicazione di massa. Lo si vede molto bene dalla linea del direttore Francesco Gregori che, è bene non dimenticarlo, è un “uomo di Scalabrini”, il Vescovo che ha guidato la diocesi di Piacenza dal 1876 al 1905 e che si è imposto, com’è noto, per la sua capacità di governare il nuovo.
Il Novecento
Prima di proseguire è opportuno richiamare le caratteristiche del secolo che si siamo lasciati alle spalle: parliamo ovviamente del suo rapporto con la comunicazione. La prima metà è caratterizzata da due guerre mondiali (termine che deve intendersi nella loro caratteristica di coinvolgere tutta la società senza contare le tragiche conseguenze sociali dei nuovi strumenti di distruzione di massa), da una dittatura che le ha unite, da un ritorno importante della democrazia con il passaggio alla repubblica per giungere alla situazione degli ultimi decenni sui quali, per quanto riguarda il ruolo della comunicazione di massa, sarà utile un’analisi serena e approfondita che non è ancora stata fatta per ovvi motivi (siamo dei contemporanei chiamati a giudicare noi stessi) senza contare il ruolo che sta avendo, anche sui contenuti (altro aspetto che si tende a sottovalutare), il frenetico cambiamento tecnologico a cui è sottoposto il settore.
Il Magistero e la comunicazione
In questo contesto va riconosciuto, rispetto a quanto detto per l’Ottocento, che il Magistero della Chiesa si è mosso invece con tempestività e proprietà. Nel libro “Giornalisti all’ombra del duomo” viene dedicato al tema un capitolo specifico e a queste pagine rimandiamo: è solo il caso di ricordare che l’intervento del Papa il 24 gennaio 2009, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, con alcune importanti riflessioni sul tema delle nuove tecnologie, indicando la necessità di promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia, è solo uno degli ultimi interventi del Magistero.
Una prima presa di posizione importante è riferita al cinema nel 1936: è l’enciclica di Pio XI “Vigilanti cura”. Lo stesso Pontefice precisa di aver trattato l’argomento del cinema in una precedente enciclica, la “Divini illius magistri” del 31 dicembre 1929 sull’educazione cristiana della gioventù. Nel 1954 viene costituita la Pontificia Commissione per il cinema, radio e televisione (la TV italiana inizia i programmi proprio nel 1954), l’anno seguente Pio XII si rivolge con una esortazione ai rappresentanti del mondo del cinema. Lo stesso Pontefice l’8 settembre 1957 firma la “Miranda Prorsus”, lettera enciclica su cinema radio e televisione.
E giungiamo al Concilio Vaticano II. Il 4 dicembre 1963 fa la sua comparsa l’“Inter mirifica”, decreto del Concilio sugli strumenti della comunicazione sociale. I Padri conciliari riconoscono il ruolo di questi mezzi favorevoli, ma anche contrari, al progetto di Dio. Compito della Chiesa è quello di istruire i fedeli, riconoscono che esiste un “diritto all’informazione”, si soffermano sul problema dell’arte, riconoscono il ruolo importante dell’opinione pubblica, i fedeli hanno il dovere di informarsi, richiamano l’impegno di tutti coloro che sono impegnati nella formazione, passano in rassegna anche i doveri degli operatori e dell’autorità civile, auspicano che venga incrementata la stampa onesta e nel contempo lanciano un ampio progetto di formazione indirizzato ai lettori, ma anche agli autori. E’ un documento organico, concreto e innovativo.
Ma perché il Concilio ha deciso di interessarsi di questo settore? Lo precisano subito, in apertura, gli stessi Padri: “La Chiesa nostra madre riconosce che questi strumenti, se bene adoperati, offrono al genere umano grandi vantaggi, perché contribuiscono efficacemente a sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché a diffondere e a consolidare il regno di Dio. Ma essa sa pure che l'uomo può adoperarli contro i disegni del Creatore e volgerli a propria rovina; anzi, il suo cuore di madre è addolorato per i danni che molto sovente il loro cattivo uso ha provocato all'umanità. Perciò questo sacro Concilio, perseverando nelle sollecitudini dei sommi Pontefici e dei vescovi in un argomento di sì grande importanza, ritiene suo dovere trattare dei principali problemi relativi agli strumenti di comunicazione sociale. Confida, inoltre, che questa esposizione dei suoi principi dottrinali e delle sue norme non solo sarà di giovamento spirituale ai fedeli, ma contribuirà anche al progresso di tutta l'umanità”.
Dopo il Concilio si mettono in moto diversi organismi: con il 1964 viene istituita la Pontifica commissione per le comunicazioni sociali e del 1967 è il primo messaggio del Papa Paolo VI sui mezzi di comunicazione sociale; sarà in seguito un atteso appuntamento annuale. Nel 1971 appare l’Istruzione pastorale “Communio et progressio” sugli strumenti della Comunicazione sociale pubblicata per disposizioni del concilio Vaticano II a cura della Pontificia commissione per le comunicazioni sociali.
Nel 1986 fanno la loro comparsa gli orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti; la Pontificia commissione per le comunicazioni sociali diventa dal 1° marzo 1989 Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Nel 1992 viene pubblicata l’Istruzione pastorale “Aetatis Novae” sulle comunicazioni sociali nel 20° anniversario della “Communio et progressio” a cura del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali; nel 1996 vengono commentati i cento anni del cinema, l’anno seguente appare un documento sull’etica della pubblicità; nel 2000 il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali si pronuncia sull’“Etica nelle comunicazioni sociali”; due anni dopo lo stesso organismo prende in considerazione il mondo di internet. Nel 2004 la Conferenza Episcopale Italiana pubblica il corposo documento “Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della chiesa”. E’ un testo ampio e organico che dà indicazioni, anche molto dettagliate, nei singoli settori.
Un altro punto di riferimento nel cammino della comunicazione è il Convegno di Palermo del 1995: è uno degli appuntamenti decennali che derivano dall’onda lunga del Concilio. Il primo si tiene a Roma nel 1976, il secondo a Loreto nel 1985, il terzo a Palermo nel 1995 ed infine l’ultimo a Verona nel 2006. In genere tutti sono concordi nel ritenere che il frutto più maturo di Palermo è stato il “progetto culturale”, una proposta con lo scopo di favorire il formarsi di una visione cristiana del mondo, consapevole delle proprie radici e in stretto dialogo con la cultura contemporanea.
Per quanto riguarda Piacenza non dev’essere poi dimenticato il XVII Sinodo, iniziato a metà anni Ottanta e conclusosi nel 1991. Nel documento conclusivo diversi sono i riferimenti al mondo della comunicazione di massa.
La presenza de “Il Nuovo Giornale”
In questo quadro si inserisce, con determinazione e spesso in una posizione di primo piano, il giornale cattolico di Piacenza, appunto “Il Nuovo Giornale”. Non è compito di questa relazione ripercorrere la storia della testata, per la quale si rimanda al libro “Giornalisti all’ombra del duomo”; ci preme solo sottolineare, in chiusura, che la sua esperienza è significativa in quanto, proprio perché si è protratta nel tempo, diventa uno strumento utile per leggere la storia non solo del giornale, ma anche della comunicazione cattolica così come si è sviluppata lungo l’intero secolo come espressione di una diocesi che ci pare, per dimensione, significativa anche per leggere una realtà molto più ampia.
“Il Nuovo Giornale” ha vissuto quasi sempre in prima linea i vari momenti del secolo scorso con direttori in genere capaciti di affrontare i problemi del tempo. Pensiamo, tra gli altri, a mons. Francesco Gregori e all’attuale cardinale Ersilio Tonini, il primo direttore negli anni dell’avvento del fascismo e il secondo ai tempi del confronto politico dopo la seconda guerra mondiale. Questo senza sottovalutare, ovviamente, gli altri direttori i cui apporti sono stati fondamentali per dare continuità alla vita della testata e soprattutto per renderla strumento importante nella testimonianza dei cattolici in terra piacentina.