Il Nuovo Giornale - Settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio

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FARE L’EUROPA - Le radici e il futuro

 

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Paolo Bustaffa Direttore SirEuropa

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Appunti a cura di Paolo Bustaffa Direttore SirEuropa


SirEuropa viene pensato nel corso della seconda assemblea speciale dei sinodo di Vescovi per l’Europa (1-23 ottobre 1999) che trovò sintesi e prospettiva nell’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa” del 2003.
Il Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee) chiese al Sir di collaborare sul piano della comunicazione interna ed esterna e SirEuropa venne presentato all’incontro dei portavoce delle Conferenze episcopali europee a Bonn nel 2001.

La storia di SirEuropa si inserisce in quella della Fisc, della sua cultura del territorio.
Nel 1979 si tenne a Roma il convegno “L’Europa della gente”, nel 1986  a San Miniato il seminario di studio sull’Europa in collaborazione con l’Ucip, nel 1989 a Monza il convegno “Un’anima per l’Europa”.
In quegli anni si tennero anche gli incontri di Alpe Adria: i settimanali del nord Est con i settimanali delle regioni limitrofe.
In Sicilia nel 1985 si tenne  un seminario di studio Fisc - Ucip (Unione cattolica internazionale della stampa) sul futuro dell’Europa. 
Infine è stata di particolare significato l’appartenenza della Fisc all’Ucip (Regione Europa) e alla Fiape (Federazione internazionale stampa di Chiesa).

SirEuropa  da nove anni è in cammino attraversando paesaggi ecclesiali, sociali/culturali e istituzionali nell’intento di essere una “informazione pensata”  ritmata dalle intuizioni dei padri della casa comune europea, dal ricco magistero della Chiesa, dall’elaborazione culturale di oggi che sta tra l’altro segnando un costruttivo confronto tra Est e Ovest d’Europa

Sir Europa vuole essere informazione europea per la realtà italiana ma - ecco il “sogno” - vuole soprattutto essere informazione europea per l’Europa.
Da nove anni é  aperto ed è attivo un “cantiere professionale” in cui operano giornalisti, opinionisti e uomini e donne di cultura  di diversi Paesi europei .

Non si é per l’euroscetticismo e neppure per l’euroesaltazione: entrambi atteggiamenti sterili e dal sapore qualunquista.
Si condivide la fatica e la bellezza di pensare un’Europa che - partendo dalla memoria -  trovi nelle radici cristiane – che sono vive e originano vita - le ragioni della speranza che non si consuma nel tempo, che è da dire a tutti, che é da “spezzare” con tutte le diversità a cominciare da quelle più fragili e dimenticate anche nel continente europeo.
La consapevolezza del rischio di un’Europa senza speranza rende ancor più responsabili i giornalisti cattolici nei confronti di un’opinione pubblica, quindi, anche di quella del territorio, spesso condizionata da letture fuorvianti, parziali e a volte sciocche.

Le radici cristiane sono un riferimento prezioso e insostituibile anche per un’informazione europea
che vuole essere attendibile perché scrupolosa nell’applicare le regole professionali, regole tecniche ed etiche, regole che considerano la memoria un dato irrinunciabile per la completezza della notizia.
Basterebbe questa scrupolosità deontologica per un’informazione autenticamente laica cioè rispettosa anche delle dimensioni religiose e spirituali dell’Europa.

Ecco - per quanto riguarda  le radici cristiane – alcune “provocazioni” che vengono da parte non cattolica e che pongono interrogativi su come questo tema sia stato e sia affrontato culturalmente.

“E’ un po’ spiacevole che alla Convenzione la Francia abbia rigettato categoricamente la menzione dell’eredità cristiana dell’Europa consegnando così agli avversari della laicità una visione caricaturale della stessa. Dando l’impressione di negare l’importanza della spiritualità, rifiutando l’evidenza storica di questa eredità, la Francia ha perso l’occasione di convincere i suoi alleati degli aspetti positivi del concetto di laicità e di esportarli”.
(Sylvie Goulard , responsabile movimento europeo francese - Le coq et la perle – Seuil, 2007)

Paul Henri Spaak (socialista agnostico, 18 settembre 1954, Consiglio di Europa)  “Non vi rendete conto che noi siamo uomini di una stessa civiltà che si chiama civiltà cristiana. E quando saremo tutti scomparsi e non si penserà ad alcuno di noi, nella lontananza del tempo si saprà tuttavia che insieme abbiamo vissuto questa avventura”

Lo storico Elie Barnavi, già ambasciatore di Israele in Francia che non era, come egli stesso diceva né cristiano ne credente affermava di essere “costernato per la negazione della Storia” che a suo avviso è nel rifiuto di riconoscere le “radici cristiane” dell’Europa. Concludeva Barnavi: “non si sfuggirà alla storia negandola”.

Nel cammino europeo i cristiani, segnatamente i cattolici, non possono essere al palo dell’euroscetticismo oppure a quello dell’euroesaltazione.
Il richiamo alla responsabilità viene da Giovanni Paolo II che stimola a una presenza di cristiani preparati e competenti nelle Istituzioni europee e da Benedetto XVI che finalizza anche questa specifica presenza a un’Europa “non cinica”.
Entrambi i Pontefici chiedono ai cattolici di mettere l’Europa nei loro pensieri e impegni.
Non nascondono le difficoltà e i dubbi, non chiedono di  sostenere “una posizione di parte” ma invitano a contribuire al rilancio di una politica che, riconquistato il suo significato autentico, si ponga al servizio del bene comune in Europa e nel mondo.

In questa prospettiva il dialogo tra le confessioni cristiane assume un grande rilievo a fronte dei temi sensibili sui quali il dibattito politico europeo e le istituzioni Ue sempre più intervengono: la vita, la famiglia, la bioetica, la libertà religiosa, la libertà  di educazione…
Presentarsi divisi e a volte contrapposti su questi temi – come purtroppo è avvenuto e avviene – indebolisce molto il contributo cristiano a una politica per la vita, la famiglia, la libertà..
L’ecumenismo sta attraversando una stagione complessa a questo riguardo ma il suo indebolirsi non è un bene neppure per la politica europea.

Occorre evitare il massimalismo di volere tutto, subito e perfetto.
La grandezza dei fondatori è stata l’umiltà, l’aver costruito sul possibile – spesso frustrante – e d’essere stati pazienti.
Recuperare queste virtù - che hanno sapore evangelico - non verrà dallo sfogliare l’album dei ricordi ma dall’esercizio di una memoria che, se vuole essere oggi viva, si rivolge al futuro oltre che  al passato.

Si pone l’urgenza di un risveglio della coscienza per uscire da una crisi culturale che tiene ferma la politica dell’Unione europea agli interessi nazionali.
In questa avventura la Chiesa cattolica, guidata dai suoi Pastori, ha una responsabilità da assumere e una speranza da offrire.

Il ruolo delle Chiese in Europa  - cfr. per il periodo 1992-2006 il volume del Ccee “I vescovi e la nuova Europa” ed. du Cerf, 2009 - è in continuo crescendo e parte sempre dalle singole Chiese e dal loro incontrarsi negli organismi Ccee e Comece: completamente diversi da qualsiasi altro organismo istituzionale.
Questa identità le Istituzioni ancora stentano a capire e a riconoscere   e lo dimostra il tentativo o il disegno delle Istituzioni Ue di omologare le Chiese a qualsiasi forma associata (lobby) per la difesa di specifici interessi.
Rimane comunque un dato positivo, anche se ancora fragile, il “dialogo strutturato”  tra le Istituzioni e le Chiese (e altre realtà religiose) previsto dall’art 17 del Trattato di Lisbona.
Il “Registro dei rappresentanti di interessi”  - presso la Commissione Europea e presso il Parlamento europeo  - dove le Chiese dovrebbero confluire entrando nella logica della lobby attesta la non comprensione della realtà ecclesiale da parte delle Istituzioni.

La Chiesa cattolica sta tuttavia e da sempre con amore dentro la storia europea e questo è documentato soprattutto dalla bellezza, dalla serietà e dal coraggio di moltissime esperienze sul territorio all’Est come all’Ovest.
Anche l’anno europeo della lotta alla povertà, a partire dal gesto di Benedetto XVI alla Caritas di Roma accompagnato da analoghi in altre città europee, sta dicendo di una presenza fatta di ascolto, condivisione, preghiera. Ugualmente si potrebbe dire per la campagna “zero poverty”  per l’anno europeo di lotta alla povertà e all’esclusione sociale.
 Fare questa cronaca è raccontare l’Europa dei popoli, delle culture, del dialogo, delle diversità, delle migrazioni.

In questi anni abbiamo visto anche crescere il dialogo tra Chiese dell’Est e Chiese dell’Ovest.
La sofferenza delle Chiese dell’Est si è incontrata con la fatica delle Chiese dell’Ovest di fronte alla secolarizzazione, all’eclissi della cultura, alla questione antropologica, ai problemi sociali, alle attese delle nuove generazioni, alla responsabilità per la pace e la giustizia nel mondo.
C’è  un compito che la Chiesa sente la gioia e la responsabilità di assumere anche oggi perché l’Europa ritrovi se stessa e non rimanga fuori dalla storia come ammonisce Benedetto XVI.
Sono di incoraggiamento, anche a noi giornalisti,  le ultime parole di Jean Monnet  - non cristiano e uno dei padri dell’Europa - che poco prima di morire, nel 1979, a chi gli chiedeva un parere sulle difficoltà che la “casa comune” stava incontrando rispondeva: “Continuer, continuer, continuer”.

E di altrettanto incoraggiamento la risposta che Maria Romana De Gasperi  diede a SirEuropa a Danzica, in occasione delle prime giornate sociali promosse dalla Comece nel 2009.
Ricordando il padre nella complessa situazione europea di oggi e richiamando per questo il dovere del realismo disse: “Non è stato un sognatore, ha avuto un sogno”.
Quello che manca forse è proprio il “sogno”,  la grande visione, la  lungimiranza  politica che  i “padri” hanno consegnato  non come album fotografico dei ricordi, ma come responsabilità e impegno  da condividere con le generazioni che salgono.

Le Chiese in Europa sono su questa strada e SirEuropa,  nello stile professionale dei settimanali Fisc, le ascolta e le racconta. 

 

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