Interviene il vescovo mons. Ambrosio
Da Firenze una strada per la chiesa e per il paese
L’affascinate tema del Convegno della Chiesa - In Gesù Cristo il nuovo umanesimo - non poteva avere altra sede più idonea della città di Firenze, culla dell’umanesimo e del rinascimento. Le “vie” pastorali discusse (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) dalla folta assemblea di vescovi e delegati hanno trovato in Papa Francesco la spinta dinamica e l’indicazione dello stile sinodale, peraltro già ampiamente attuato nel metodo di lavoro del Convegno. La Chiesa italiana è chiamata ad una pratica pastorale all’altezza delle attuali sfide, come i processi delle migrazioni, della globalizzazione, della secolarizzazione oppure come la ridefinizione delle parrocchie o il rinnovamento dell’iniziazione cristiana.
Il discorso del Papa è da accogliere come una “lettera enciclica alle Chiese d’Italia”. Sotto la maestosa volta del Brunelleschi nel duomo fiorentino, il Papa ha indicato l’Ecce Homo dipinto dal Vasari. “Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui ha «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6)”. Da qui lo slancio per il “nuovo umanesimo”, che significa seguire quell’Uomo e dunque vincere l’ossessione del potere, del denaro, della gloria: “Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra”.
“Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. È una citazione dell’Evangelii gaudium (EG, 49), che il Papa indica come punto di riferimento per la nostra Chiesa. E la CEI continuerà su questa strada, dopo aver già dedicato una sua Assemblea generale per verificare l’accoglienza delle indicazioni del Papa.
Lo stile sinodale
Fin dalla relazione iniziale di mons. Cesare Nosiglia, presidente del comitato preparatorio, appare chiaro il metodo, anzi lo stile: “Non siamo qui per predisporre dei piani pastorali [...]: siamo qui per inaugurare uno stile. Lo stile sinodale […] deve accompagnare i lavori di questi giorni e sarebbe già un grande risultato se da Firenze la sinodalità divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale”. Non è solo un metodo ma è l’esigenza di camminare insieme per crescere in vista di una più autentica testimonianza cristiana nel nostro Paese. Un esempio di sinodalità concreta è stato offerto dai moltissimi vescovi presenti, coinvolti nei lavori di gruppo. Ma più in generale tutti hanno dato testimonianza di sinodalità, pregando e riflettendo, ascoltando e discutendo, senza tensioni particolari fra il laicato (associazioni e movimenti) o fra i teologi e i pastori. Tutti hanno preso la parola, i giovani hanno espresso i loro punti di vista, l’assemblea ha dialogato in diretta, di continuo, scambiandosi opinioni attraverso l’App scaricata nei cellulari.
L’umanesimo concreto e praticato
Siamo di fronte a sfide “persino difficili da comprendere”, afferma il Papa, viviamo non solo “un’epoca di cambiamento, quanto un cambiamento d’epoca”. Questo non deve spaventare ma deve impegnarci ad essere uniti. “Ai vescovi chiedo di essere pastori: sia questa la vostra gioia. Sarà la gente, il vostro gregge a sostenervi”. Anche in ordine al futuro. “Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme”. “Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo […] Ne sono sicuro perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti». Questa visione è accolta dal card. Bagnasco che così sintetizza: il Papa «ci ha chiesto autenticità e gratuità, spirito di servizio, attenzione ai poveri, capacità di dialogo e di accoglienza; ci ha esortati a prendere il largo con coraggio e a innovare con creatività, nella compagnia di tutti coloro che sono animati da buona volontà”.
Mauro Magatti, uno dei relatori, ha citato all’inizio della sua relazione alcune righe dal discorso di chiusura del Concilio (7 dicembre 1965) di Papa VI: “Dategli (al Concilio) merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinun-
ciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo». Per questo non possiamo restare insensibili di fronte al rischio di una drammatica disumanizzazione dell’uomo, come la storia recente ci insegna: “Solo se l’umanesimo riveste i caratteri della carità può sfuggire a questo destino”.
Nel travaglio che il nostro tempo sta vivendo e subendo, è necessario vincere la cultura dello scarto e la prepotenza del nichilismo distruttivo. Non siamo chiamati a una nuova teoria, ma a rompere la logica dell’astrazione con una concretezza fatta di prossimità e aperta alla trascendenza. La via delle relazioni è l’unica in grado di impedire la disumanità della globalizzazione e di allargare la nostra ragione al di là della tecnica e del calcolo economico. Ma questa capacità di relazione “intrisa di affezione e aperta all’ulteriorità non è forse ciò che costituisce il tratto più tipico del nostro essere italiani? Non è forse proprio questo fondo relazionale aperto alla bellezza, all’infinito, all’eccedenza, all’universale, l’origine di ciò che gli stranieri ci invidiano?”.
Far fiorire un umanesimo della concretezza è il contributo specifico della Chiesa al paese e al suo rilancio. L’attenzione del convegno alle buone pratiche di umanesimo cristiano nasce dalla centralità del Cristo, dalla scelta privilegiata dei poveri e dalla consapevolezza del cambiamento storico. “Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo” (Papa Francesco) e assumendone i sentimenti, l’umiltà, la beatitudine e il disinteresse.
† Gianni Ambrosio
vescovo di Piacenza-Bobbio