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Quale futuro per l'Italia

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Ne parliamo con l’avvocato Corrado Sforza Fogliani

Il nostro Paese attraversa un periodo di cambiamento sul piano politico ed istituzionale. Ma come il nostro Stato guarda oggi al futuro? Ne parliamo con l’avvocato Corrado Sforza Fogliani, presidente d’onore della Banca di Piacenza, alla guida dal luglio scorso di Assopopolari, l’associazione fra le Banche popolari, e presidente del Centro studi Confedilizia.

— Di riforme si parla da tempo. Lei come valuta questo percorso?

Di semplificazioni si parla tanto, ma di fatto io ne vedo poche; anche certe riforme costituzionali sono state realizzate a metà. Sotto questo profilo, la conclusione è abbastanza deludente. Certo, sul piano generale, credo invece che questo sia un periodo di svolta epocale, come sono sempre stati nella storia tutti i periodi caratterizzati da grandi migrazioni.

A mio giudizio la vera svolta epocale potrebbe realizzarsi con il ritorno a una società senza Stato, com’era in passato: lo Stato moderno, così come lo conosciamo noi, caratterizzato dalla “plenitudo potestatis”, è nato solo nel ‘500.

Se pensiamo al sistema feudale ci rendiamo conto che al suo interno esisteva, in realtà, un equilibrio di poteri e, anche dal punto di vista degli ordinamenti giuridici, era presente un certo pluralismo. C’erano l’ordinamento pubblico e l’ordinamento privato, ed erano estremamente attive la Chiesa e le singole corporazioni. Tutto questo portava anche a un pluralismo di pensiero. Oggi, invece, lo Stato ha uniformato tutto e ha portato ad una forte oppressione fiscale che continua ad aumentare con una situazione d’invasività eccessiva nella vita dei cittadini.

— Non si può negare che lo Stato moderno sia però una conquista importante...

Lo Stato ha rappresentato un’istituzione positiva quando era in grado di svolgere quelle funzioni che gli sono proprie, come l’amministrazione della giustizia e la difesa. Oggi purtroppo la situazione è completamente cambiata e lo stesso Stato non appare più in grado di svolgere queste funzioni o, quando lo fa, le svolge malamente.

La positività dello Stato si è manifestata anche nell’introduzione delle imposte e nella capacità di utilizzarle come sistema di equità, di ridistribuzione dei redditi e dei patrimoni. Il problema, però, è che l’oppressione fiscale a cui siamo sottoposti oggi è veramente esagerata: che incentivo possiamo avere a lavorare e produrre se lo Stato come minimo ci toglie il 60-70% del nostro reddito?

Inizio ad essere critico anche nei confronti dello Stato liberale in quanto tale, perché oggi la politica non svolge più quella funzione di rappresentanza che le è propria.

Leggi articolo alla pagina 7 dell’edizione di mercoledì 30 dicembre 2015

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