Se l’annuncio arriva via web
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la via si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta” (1 Gv 1, 1-4).
Il kerygma: l’annuncio. Nell’etimologia greca, keryx è colui che, per incarico di un principe o dello stato, proclama a voce alta una notizia che gli è stata affidata. Così, per il cristiano proclamare il Vangelo significa uscire allo scoperto, trovare le vie possibili per essere collaboratore della gioia di tanti. Per il cristiano, annunciare significa rendere viva e attuabile la parola di Dio, l’opera di Cristo nella vita personale e nella storia. Sempre, il kerygma è una parola di speranza, una parola di senso laddove la ragione, privata della fede, sembra averlo perso.
Anche sul fronte dell’annuncio si gioca la libertà dell’uomo. “Con ogni essere umano che viene al mondo – recita il documento dei vescovi ‘Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’, citando sant’Agostino – è immesso un potenziale di novità nella storia, nel bene come nel male. L’uomo è creatura responsabile, capace con la sua libertà di dare inizio a nuove vie, di vita o di morte”. E queste vie sono, sempre di più, quelle dei media. Dai tempi del pontificato di Giovanni Paolo II, l’areopago del mondo moderno è diventato più ampio e complesso. Il web si è trasformato in una nuova agora, e dunque, in un nuovo fronte su cui vegliare come sentinelle, su cui annunciare come messaggeri. Per questo, i nostri contributi video in “Apriti cielo” vogliono essere piccole pillole di kerygma.