La nostra vita e la Parola
L’oggi di Gesù. Per una serie di ragioni, spesso il rapporto che abbiamo con le parole che leggiamo o ascoltiamo nei vangeli è di tipo moralistico. Molte persone si accostano alla Scrittura come se si trattasse di un libro in cui ricercare alcune regole da seguire, principi buoni a cui ispirare la propria vita, insegnamenti che provengono da un passato molto lontano e che, per qualche strano motivo, si sono conservati validi nel corso dei secoli.
Nel brano che la liturgia ci propone questa domenica troviamo invece un tipo di approccio completamente diverso, che è quello di Gesù. Egli partecipa ad una liturgia sinagogale nel giorno di sabato. Dopo che era stato letto il passo della Torah (i primi cinque libri della scrittura), si alza a proclamare un brano tratto dai libri profetici. Al termine della proclamazione, approfittando della occasione che veniva offerta a chi partecipava al culto, Gesù dà una spiegazione, un commento, al testo che era appena stato letto. La lettura che però egli dà è totalmente nuova: “oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltata”.
Le parole di Isaia improvvisamente escono dal carcere del passato, smettono di essere qualcosa a cui ispirarsi e diventano la descrizione di ciò che sta avvenendo in quel momento: prendono vita, assumono una carne. È difficile da spiegare per chi non lo ha vissuto, ma questo è quello che accade quando la parola viene proclamata nella comunità cristiana: essa prende carne, diventa attuale e coloro che vivono tale esperienza diventano contemporanei di Cristo. Quell’ “oggi” è il tempo della Chiesa che è lo spazio in cui lo Spirito fa rivivere le parole e gli avvenimenti del Vangelo.
Il consacrato. Gesù riconosce che in quelle parole del profeta Isaia è descritta la vicenda della sua vita, la sua missione. Dopo aver ricevuto il Battesimo nel Giordano ed aver passato quaranta giorni nel deserto, dove si è trovato davanti ad un bivio riguardo alla modalità della propria missione, a Nazareth afferma pubblicamente di essere quel consacrato profetizzato da Isaia.
Essere consacrato non significa aver attorno una aurea che ti rende intoccabile, ma piuttosto essere stato preso, chiamato e sottratto alle proprie occupazioni, agli scopi per cui normalmente si vive, ed essere utilizzato per uno scopo nuovo. Poveri, prigionieri, ciechi e oppressi sono i destinatari della sua missione. Ancora oggi la comunità cristiana è mandata a proclamare un anno di grazia e chiamare gli uomini ad entrare in quell’oggi di cui parla Gesù. Se c’è un “carpe diem” cristiano è proprio questo: cogliere l’occasione che il Signore ci offre quando visita la nostra vita.
don Andrea Campisi